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Sul sentiero della verità

Sul sentiero della verità

1 Novembre 2012

Il grigio è solo quello del cielo che promette pioggia. Non c’è spazio, nel teatro gremito del Gifra – circa 140 i presenti – per zone d’ombra, non almeno dopo che Diego Manetti, scrittore ed editor per Piemme, inizia il suo intervento dal titolo “Meglio un giorno da leone o cento da pecora?”.
O luce o buio, «l’alternativa è tra vivere nella verità o nella menzogna, cosa vuol dire vivere un giorno da leoni? Chi sceglierebbe un giorno contro cento? Ma solo chi è certo di vivere nella verità. Questa è l’alternativa.
Non tanto scelta teorica o morale, ma esistenziale: sto dalla parte di Dio o del demonio? Non ci sono vie di mezzo, se si tradisce la moglie non si è “un po’ infedeli”, si è infedeli e basta».

Se la scelta è secca anche l’argomentazione non può essere da meno; ecco allora che Manetti avanza nel campo di battaglia in cui si confrontano verità e menzogna senza esitazioni, con parole che fendono l’aria per separare e non ricucire, come al contrario era stato lunedì scorso per don Stefano Cerri, i lembi di una ferita.

Lo scenario in cui si muove è quello della vita, tra prese di posizione quotidiane e definitive. «Ricordo – confida Diego Manetti – una ragazza che avevo in classe e che poco tempo fa, a 22 anni, è morta per un tumore al cervello. Quando arrivai in quella scuola, tutti i colleghi mi dissero di avere un occhio di riguardo per lei. Io a lezione una volta parlai di Hegel, secondo cui ogni popolo ha una sua cultura e l’immortalità è contribuire alla cultura del proprio popolo. Eppure, dissi, perfino Leopardi, l’ultima cosa che ha fatto prima di morire non è stata pensare all’immortalità della fama, ma chiamare un prete… Questa ragazza ad un certo punto, mentre parlavo, cominciò a piangere ed io pensai di essere stato troppo esplicito nel parlare della morte, invece lei mi ringraziò perché “nessuno me ne parla mai”».
Uno dei tabù più forti, se non il più forte, del genere umano è proprio la morte, uno dei misteri ineffabili dell’esistenza, che si preferisce tacere, rifuggire e proprio per questo Manetti lo affronta con decisione e senza fronzoli di sorta, costringendo i presenti a pensare a questo passaggio inevitabile di ogni vita. «Il peggio che ti possa capitare è morire; non lo sapevi già? Tutti ci passiamo, ciò che cambia è come. Magari “la verità vi farà liberi” – Gv 8, 32 – vuol dire proprio questo».

Di suggestione in suggestione il relatore collega il Vangelo ai messaggi della Madonna a Medjugorje, alla Genesi, ad episodi della vita privata o della vita di santi, come beata Chiara Luce Badano, morta a 18 anni per un osteosarcoma e capace di vivere la malattia come dono completo a Gesù, rischiarando con lampi successivi il ritratto della verità. «Pensate a Ponzio Pilato – afferma Diego – un uomo colto, intelligente, che si trova davanti un uomo che lo colpisce e si mette alla parti di un prigioniero, interrogandolo e chiedendogli “Che cos’è la verità?”. Fa una domanda e dopo esce senza aspettare la risposta. Perché? In latino la domanda è “quid est veritas?”, che si può anagrammare “est vir qui adest”, è l’uomo che è qui. La verità non ha bisogno di essere detta, si manifesta».

Anche nel dolore, ed è il caso della giovane studentessa e di Chiara Luce, ma anche del cammino di ogni persona, che prima o poi necessariamente si intreccia alla sofferenza. «La Madonna, il 2 agosto 2005, dice: “Sono venuta a voi con le mani aperte, per tenervi sotto il mio mantello, ma finché seguirete luci false e idoli falsi non posso”.
Ecco il demonio; quante persone chiedono e tornano da Medjugorje arrabbiate o deluse, ma se l’uomo è arrabbiato Gesù non può entrare in un cuore che è già occupato da altro. Noi tentiamo di fare il contrario: dammi questo e forse dopo mi converto. Ecco la menzogna».

Nei problemi quotidiani, nelle afflizioni grandi e piccole: «Pensi – chiede Manetti ad ognuno dei presenti ed a se stesso – senza croce di poter partecipare alla resurrezione? Il Cireneo arrivava dalla campagna, stanco dopo una giornata di lavoro, impossibilitato ad andare a casa dal passaggio del corteo verso il Calvario che occupava la strada. Avrà detto anche lui “ho lavorato tutto il giorno e mi tocca anche questo”, ma dopo uno sguardo con Gesù capisce che quell’uomo stava portando la sua croce al posto suo e che era lui, il Cireneo, a non voler fare la propria parte».


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