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La gioia di distribuire

La gioia di distribuire

15 Aprile 2014

La catechesi dedicata alla Evangelii Gaudium si chiude mettendo al centro i poveri e la giustizia. Relatore della serata frate Luca Minuto del convento di Fossano. «Nel quarto capitolo della Eg – spiega frate Luca – il papa ci invita a scoprire la responsabilità come fedeltà alla terra. Non scambiamo il cristianesimo con una religione da perdenti: non è una vita oltre la morte che ti compensa se hai vissuto obbedendo. Il Papa ci invita non all’assistenzialismo, ma a cambiare la nostra vita, a prendere sul serio le beatitudini. Giustizia non vuol dire essere tutti uguali, quella è la torre di Babele, giustizia è dare a ognuno il suo. Luca 18, 14 racconta l’episodio del giovane ricco. L’evangelista usa un verbo diverso da Matteo e Marco, scrive “distribuiscilo”, cioè dai usando la testa e il cuore, dai a ciascuno quanto è giusto». Solo essendo responsabili dell’altro è possibile “rendere presente nel mondo il Regno di Dio” (176), cioè fare evangelizzazione.

 Solidarietà e giustizia
«La giustizia – prosegue il frate – non è spersonalizzata, in questo senso mi pare emblematico “Il processo” di Kafka, dove il protagonista è processato senza sapere mai di cosa è accusato. Giustizia e misericordia al contrario non possono mai essere disgiunte. De Andrè, nella bellissima canzone “Il testamento di Tito” scrive: “Lo sanno a memoria il diritto divino e scordano sempre il perdono”. Tutto questo il Papa lo dice usando la parola solidarietà che “si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni” (188). Se la politica non è al servizio del bene di tutti non è politica, allo stesso modo un’economia lontana dall’uomo non porterà mai a un progresso reale dell’uomo». Cambiare politica ed economia non è un compito assegnato solo a legislatori ed economisti, ma anche alla vita quotidiana di ogni uomo. «Potremo riscoprire la prevalenza della gioia sull’utilità – afferma il francescano – quando ci riapproprieremo della politica e dell’economia per renderle vicine all’uomo secondo giustizia».

 
Sequela
Nel segno del Vangelo, che «non è un insieme di precetti e norme, ma una vita da mettere in pratica. Il Vangelo ci dice come prendere in mano la nostra vita nel nostro ambiente». In questo senso la Eg non nasce come proposta estemporanea, ma come programma nel solco del Concilio Vaticano II, della “Gaudium et spes” e dell’esortazione di Paolo VI “Evangelii nuntiandi”, avendo come referente primo proprio l’insegnamento di Gesù, da riconoscere in quei fratelli nudi, affamati, assetati, perseguitati che il Vangelo invita a rivestire, saziare, dissetare, sostenere (Mt 25). «Gesù – continua il relatore – è esigente, ci chiede di essere santi, perfetti, cioè capaci di perdonare, di offrire sempre la nostra vita. Capita di sentir dire ad alcuni, riferito agli stranieri, “dovremmo trattarli come loro trattano noi. Da loro non ci fanno costruire le chiese”. Ma noi siamo cristiani? Questo è un ragionamento pagano. Ci siamo dimenticati che abbiamo vissuto secoli senza chiese, pregando nelle nostre case? Noi siamo in un mondo non cristiano e dobbiamo confrontarci con esso, recuperando l’importanza dell’accoglienza».

 
Identità ed esempio
Consapevoli che l’umanità non è un tratto dei soli cristiani, ma dell’uomo in quanto tale. «E’ necessario – si chiede frate Luca – essere cristiani per occuparsi dei poveri? Prima di Gesù lo scrittore romano Terenzio scriveva “homo sum, humani nihili a me alienum puto..” cioè “sono un uomo, non reputo estraneo a me nulla di umano”. Questa umanità è la base per essere cristiani. Essere cristiani non aggiunge un tratto che non c’è nell’umanità, ma ci dice il coraggio di costruire la vita tra gli uomini». Ricordando che «come scrive Dietrich Bonhoeffer, “Cristo non può stare ai margini della nostra vita”. Se non ti prende dal centro per te non è nessuno». A mostrarci come fare ci sono diversi testimoni, frate Minuto ne cita tre: «Uno – afferma – è san Francesco, quando nel testamento ricorda che “il Signore stesso mi condusse da loro (i lebbrosi) e ciò che era amaro si convertì in dolcezza dell’animo”. Non perché fisicamente il Signore lo condusse dai lebbrosi, ma perché Francesco vede tutto unito nella sua vita, l’esperienza di preghiera e quella con i lebbrosi. Un altro esempio è don Lorenzo Milani, nella sua “lettera a Pipetta”, un comunista con cui si confrontava di frequente: “io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore Crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo, le Beatitudini”. Un esempio più recente è don Andrea Gallo: la sorella al funerale, davanti alla contestazione contro il vescovo, ha preso il microfono per dire “ragazzi, voi così non rispettate la memoria e l’insegnamento del Gallo, lui credeva nella Chiesa, ne aveva un rispetto profondo”». Così è possibile riscoprire come essere cristiani attori di una evangelizzazione gioiosa, ricordando con Bonhoeffer che “Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione / piangono per aiuto, chiedono felicità e pane / salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte / così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani / Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione / lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane / lo vedono consunto dai peccati, debolezza e morte: / i cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza / Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione / senza il corpo e l’anima del suo pane / muore in croce per cristiani e pagani / e a questi e a quelli perdona”.


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