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La via vecchia per la nuova

La via vecchia per la nuova

25 Gennaio 2013

Riparte dal cambiamento la catechesi del Gifra. Il tema è sempre “tra gli opposti della vita”, anche se è difficile trovare un vero e proprio opposto al mutamento, legge ferrea dell’universo a cui soggiace ogni cosa. E difatti tutta la conferenza, tenuta da don Stefano Cerri, verte sulla definizione del cambiamento, del cambiare, di cosa in realtà significhi il mutare per l’uomo. «Cambiare – ha esordito don Cerri – è un rischio, si pensi a chi cambia nel lavoro. Ma si guardi anche agli affetti, come quelli familiari, dove oggi cambiare strada non è tanto un’opportunità quanto un gioco e il rischio lo si affronta perché si confonde la scelta con il gioco. Anche l’amicizia conosce la strada del non volerci più aver nulla a che fare; e come non citare le strade del sapere, il passare da una cultura all’altra e si pensi al sapere sociale, con il cambiamento che nella politica raggiunge velocità da centometrista per i salti da una parte all’altra».

Eppure, cambiare si deve. «Il cambiamento è inevitabile – ha spiegato don Cerri – ma ciò che conta è come e perché si cambia. Si può cambiare per rompere l’abitudine, si può cambiare per forzare la mano alla sorte, si può cambiare perché si è costretti». Ed ogni variazione può essere più o meno radicale, più o meno associata ad un mutamento sostanziale e non solo formale. «Tutti questi tipi di cambiamento – ha affermato il relatore – sono limitati, non portano ad una mutazione vera e propria. L’unico vero cambiare è quello che nasce da uno stato di necessità, che porta l’uomo, il cristiano, alla conversione, che vuol dire letteralmente “volgersi in direzione contraria” a quella che si stava seguendo. Una scelta radicale, che non può essere legata a contingenze di varia natura; pensiamo al figliol prodigo che, toccato il fondo, comprende e si converte: torna indietro, dal Padre, e riceve molto più di quello che aveva ricevuto il fratello, il quale era rimasto sempre nella strada del Padre. Dio è pronto ad accogliere la nostra conversione e a darci mille volte di più di quanto noi portiamo».

Ma possibile che, di tutti i cambiamenti possibili, l’unico valido sia quello legato ad una “necessità”? Un’impostazione di questo tipo sembrerebbe lasciare il cambiamento per intero nelle mani del fato, di circostanze esterne, di stimoli che poco se non nulla avrebbero a che fare con la reale volontà dell’individuo, una sorta di “giustificazione sulla sola grazia” della possibilità di convertirsi, su cui l’incidenza della persona sarebbe minima. Un dubbio rimasto sul taccuino al termine della conferenza. «La necessità – ha spiegato don Cerri “a microfoni spenti” prima di ripartire alla volta di Scaldasole – non è da intendere come imposta, bensì come sentimento, la persona deve sentire la necessità di cambiare. Non sono sceso nel dettaglio nel corso dell’incontro, avevo il timore di sembrare troppo astratto o intellettuale, ma ciò che volevo dire è proprio che la necessità del cambiamento arriva al termine di un percorso, non può essere deciso su due piedi, ma è frutto di una maturazione che avviene nel tempo finché non si arriva a comprendere che il momento è giunto e non si è pronti per una vera conversione».


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