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Il dialogo è roba per miti

Il dialogo è roba per miti

21 Marzo 2013

L’ultimo incontro della catechesi quaresimale del Gifra è stato un invito al confronto, ad andare per le vie del mondo e riassumere quello che si è avuto modo di ascoltare nei precedenti incontri. Perché in fondo tutte le conferenze precedenti hanno preparato l’ultima: “dalla religione del peccato alla religione del lieto annuncio”, “Dio dentro la storia e dentro la vita”, “la fede un cammino con una comunità”, “alla sequela di Gesù e annunciatori del regno”, alla scoperta della propria fede per potersi confrontare con le altre fedi. “La Fede: una sfida e una opportunità di dialogo con le altre fedi”, relatore il professor Massimo Introvigne esperto di religioni del mondo, è stata la conferenza conclusiva in quanto pensata per ricondurre ad unità le precedenti. Non poteva essere diversamente, alla fine di un percorso volto alla scoperta della propria fede non può che esserci il confronto con le fedi diverse rispetto alla propria.

«Il dialogo interreligioso – ha esordito il professor Introvigne – è stato un tema centrale nel pontificato di Benedetto XVI – si pensi al celebre discorso di Ratisbona basato sul confronto con l’Islam a partire da un’antrica disputa in cui comparivano come personaggi un imperatore bizantino ed un saggio persiano – e  papa Francesco, su questo argomento, dovrà avere come punto di partenza il concilio Vaticano II, che tra i suoi snodi cruciali ebbe il rapporto con le altre fedi. Da una parte nella Chiesa vi è la volontà del dialogo, dall’altra parte la rivendicazione della verità del Vangelo». Già nel polittico dell’Agnello Mistico, opera del XV secolo dei fratelli Hubert e Jan van Eyck, Gesù è adorato non solo dai cristiani, ma anche da pagani, musulmani e perfino da un uomo dai tratti orientali, nel segno di un messaggio rivolto a tutte le nazioni, a tutti i popoli, a tutti gli uomini, come Gesù nel Vangelo chiarì al di là di ogni dubbio. «I padri conciliari europei – ha proseguito Introvigne – pensavano ad un dialogo con gli ebrei, ma i vescovi mediorientali chiesero di parlare anche dell’Islam, appoggiati dai vescovi indiani ed asiatici, per cui il problema del rapporto con le religioni non cristiane era decisamente più stringente».

Difficile tuttavia trovare una sintesi tra l’esigenza della libertà religiosa, fondamento necessario anche solo per porre le basi di un qualunque dialogo, e quella della verità del Vangelo, fondamento da cui nessun cristiano può prescindere nel confrontarsi con le altre confessioni. «La libertà religiosa – ha commentato il professore – non gode di buona salute, David Barret, studioso americano, ha scritto un corposo volume sui cristiani uccisi nella storia, circa 70 milioni di persone di cui si parla troppo poco, soprattutto se si pensa che ogni anno le vittime cristiane sono 105mila. La libertà religiosa tuttavia non è relativismo, nel concilio Vaticano II la dichiarazione in proposito fu scritta nell’accezione americana di diritto, secondo cui lo stato non deve interferire nelle scelte religiose. Si ha perciò un’affermazione che permetterebbe la coesistenza fra religioni all’interno di uno stato, ma che non dice nulla sugli altri ambiti: per lo stato tutte le religioni sono uguali, ma in ambito teologico non è così. Per usare una metafora calcistica, le religioni sono le squadre, lo stato l’arbitro che fissa le regole, ma non parteggia per nessuno. Il Concilio chiede allo stato di essere neutrale, ma il cristiano deve annunciare il Vangelo ed è un errore affrontare il dialogo senza essere convinti della propria identità». Occorre indossare la propria casacca e giocare per la squadra, che in questo caso più che un club è una nazionale, con la differenza che nel discorso interconfessionale non esistono i calci di rigore ed è troppo facile infilarsi in infiniti tempi supplementari. Torna alla mente quanto detto da frate Michele Mottura l’11 aprile: «Le uniche due caratteristiche che Cristo dice di sé come esempio di atteggiamenti da seguire sono la mitezza e l’umiltà. I miti sono coloro che non si impongono e non pretendono di che gli altri siano diversi da come sono. Vanno e portano la fede, senza imporsi. Mitezza ed umiltà sono le caratteristiche divine e per me quelle del nuovo annuncio». Testimoni di una lieta novella, non di un giogo, per quanto dolce possa sembrare.


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